L’analisi delle caratteristiche fondamentali di un titolo (fattori economici, finanziari, quantitativi e qualitativi) allo scopo di determinarne se il suo valore intrinseco, sulla base delle prospettive presenti e future, è superiore al prezzo di mercato (titolo sottovalutato) o inferiore (titolo sopravvalutato).
Utilizzata soprattutto per strategie di trading, è l’analisi statistica dei prezzi e dei volumi di mercato con l’obiettivo di identificare ed interpretare un trend nei loro movimenti. A differenza dell’analisi fondamentale (vedi), si basa prevalentemente sulla lettura dei grafici per determinare la forza di un titolo ed il suo (possibile) movimento futuro.
La simultanea vendita ed acquisto dello stesso strumento (o strumenti molto simili) su due mercati diversi a due prezzi differenti, realizzando quindi un profitto certo e senza rischi. Gli arbitraggi “puri” sono quasi impossibili nei mercati moderni: le strategie di quasi-arbitraggio hanno una qualche forma residuale di rischio.
Le decisioni su come allocare e suddividere gli investimenti alle diverse asset classes (vedi).
Un insieme di titoli che condividono caratteristiche simili e sono soggette alle stesse regole. Le principali asset classes finanziarie sono: liquidità (strumenti del mercato monetario o assimilabili); obbligazioni (fixed income); azioni (equities); immobiliare (real estate) e materie prime (commodities). Le cosiddette strategie alternative (private equity, hedge funds, …) non sono propriamente asset classes a se stanti, quanto piuttosto un modo di “ricombinare” gli investimenti sopra citati utilizzando strategie non-tradizionali.
Misura statistica dei movimenti di prezzo rispetto al mercato in generale. Un titolo con un beta di 1,2 avrà un rendimento (movimento) che sarà – in media – 1,2 volte il rendimento del mercato, sia in salita che in discesa. Beta rappresenta il rischio sistematico (vedi) che non può essere diversificato ed è una misura dei co-movimenti rispetto al mercato in generale, non una misura pura della volatilità. Nell’utilizzo pratico del beta occorre considerare che: a) il suo valore cambia nel corso del tempo; b) potrebbe essere diverso a seconda della direzione del mercato (= il beta in mercati rialzisti può essere diverso dal beta in mercati ribassisti); c) la sua stima dipende dal periodo utilizzato per l’analisi e dalla frequenza delle osservazioni (giornaliera vs. settimanale vs. mensile…).
Opposto di top-down (vedi), è un approccio che, partendo dal basso, focalizza il processo di investimento sull’analisi delle caratteristiche delle singole aziende, de-enfatizzando invece variabili macro-economiche come i cicli di mercato.
Una misura della dimensione dell’azienda, è data dal prodotto delle azioni in circolazione per il prezzo di mercato, ed indica il valore complessivo di mercato dell’azienda. Spesso utilizzata per segmentare le aziende in large-, mid- e small-caps.
Termine tecnico per indicare le materie prime, possono essere definite come tutto quello che viene prodotto o estratto dalla terra e che viene trattato su un mercato, coprendo un’ampia gamma di beni: energia (petrolio, gas naturale, elettricità, carbone, uranio, etanolo, emissioni di CO2, …); metalli preziosi (oro, argento, platino, palladio, …); metalli industriali (alluminio, rame, piombo, nickel, zinco, stagno, acciaio, cobalto, manganese, molibdeno, …); prodotti agricoli (cacao, caffè, zucchero, cotone, grano, mais, riso, semi di soia, olio di palma, gomma, succo d’arancia, legname, …); bestiame (carne, pancetta di maiale, …).
Misura statistica che indica quanto i movimenti in due variabili sono collegati e dipendenti tra loro. Il coefficiente di correlazione (definito come il rapporto tra la covarianza delle due variabili ed il prodotto delle loro deviazioni standard) può variare tra -1 (perfetta correlazione inversa) e +1 (perfetta correlazione).
Indica una situazione nella quale due variabili divergono dal loro andamento normale o atteso dalla loro correlazione, ad esempio quando due asset classes (vedi) che tipicamente salgono e scendono di prezzo contemporaneamente cominciano a muoversi in direzioni opposte, con una che sale e l’altra che scende.
Il mancato pagamento degli interessi (cedola) o del nominale quando dovuti da parte di chi ha preso soldi a prestito, come nel caso delle obbligazioni.
Il rapporto tra i dividendi pagati ed il prezzo corrente di un’azione, una sorta di rendimento (lordo) che deriva dal solo incassare i dividendi in un investimento azionario.
La probabilità e magnitudine di un movimento di prezzo negativo per un titolo, mercato o asset class.
Espressa in anni, è una misura della sensitività del prezzo di un’obbligazione alle variazioni nei tassi d’interesse. Poiché la relazione tra tassi e prezzo delle obbligazioni è inversa, un aumento dei tassi implica una riduzione del prezzo dell’obbligazione.
Dato dalla capitalizzazione di mercato (vedi) più il valore netto del debito dell’azienda. In maniera simile alla capitalizzazione di mercato, è una misura della sua dimensione: indica quando un acquirente dovrebbe spendere per comprare tutta l’azienda, quindi le quote detenute dagli azionisti ed il debito dagli altri finanziatori.
Simili ai fondi comuni, sono veicoli di investimento per strategie passive che seguono la performance di uno specifico indice di azioni, obbligazioni, materie prime, … A differenza dei fondi comuni, sono trattati in borsa come le azioni e possono essere acquistati e venduti continuamente durante la giornata.
Titoli di debito non gantiti e non subordinati trattati in borsa (come gli ETF) che offrono un rendimento legato ad un particolare titolo (azioni, obbligazioni, materie prime, indici, tassi di cambio, …).
Chiamati anche free cash flows (FCF), indicano l’ammontare di denaro generato da un’azienda dopo gli investimenti necessari per mantenere e/o accrescere la propria operatività. Sono i flussi di cassa (e non gli utili, che sono semplicemente il risultato dell’applicazione dei principi contabili) che permettono ad un’azienda di pagare i dividendi o di perseguire altre opportunità di sviluppo per aumentare il valore per gli azionisti.
Un fondo per il quale vi è una continua creazione e cancellazione delle quote in circolazione, come avviene per i tradizionali fondi comuni.
Un veicolo di investimento il cui numero di azioni non cambia (vedi differenza con fondi aperti). I fondi chiusi possono essere sia quotati in borsa (ad es., molti fondi immobiliari) oppure non quotati.
Un fondo di investimento che investe in una moltitudine di asset classes differenti: azioni, obbligazioni, materie prime, …
L’opposto di gestione passiva (vedi), è una strategia che mira a deviare dalla composizione di un indice di mercato con l’obietivo di ottenere un rendimento superiore.
Detta anche indexing, mira a costruire un portafoglio che replica le caratteristiche di un indice rappresentativo di un intero mercato, regione/paese o loro sotto-settori.
Un investimento il cui rendimento è conosciuto oggi con certezza. In finanza, l’investimento privo di rischio è comunemento rappresentato dai titoli di stato di paesi “sicuri”, come gli US o la Germania.
Acronimo di International Securities Identification Number, è un codice alfanumerico utilizzato per identificare in maniera univoca i valori mobiliari (azioni, obbligazioni, fondi comuni, …) a livello internazionale. Il codice ISIN è composto da 12 cifre e le prime due, in lettere, indicano il paese di registrazione dell’emissione: ad esempio, i titoli che iniziano con IT sono emessi sotto la giurisdizione italiana, quelli con DE sotto quella tedesca, quelli con US sotto quella statunitense, e così via. Un codice speciale, XS, è utilizzato per i titoli mobiliari internazionali come euro-obbligazioni (Eurobond) che sono registrate e liquidate (secondo la terminologia tecnica: “settled and cleared”) attraverso i sistemi di compensazione pan-europei come Euroclear e Clearstream
Indica la tendenza di una variabile economica a ritornare verso la propria media storica. Ad esempio, il rapporto prezzo-utili (vedi) dei mercati azionari in aggregato può oscillare anche rapidamente, ma ha spesso la tendenza a tornare verso la propria media storica su periodi medio-lunghi.
La teoria dei mercati efficienti (Efficient Markets Hypothesis, EMH) postula che tutte le informazioni disponibili sono immediatamente riflesse ed incorporate nel prezzo di mercato di un titolo, che quindi dovrebbe offrire un rendimento commisurato con il suo rischio (né più, né meno). In altre parole, un investitore non dovrebbe essere in grado di ottenere un extra-rendimento utilizzando l’analisi fondamentale (vedi) o l’analisi tecnica (vedi).
Strategia che consiste nell’investire nelle azioni di aziende che sono in fase di fusione cercando di approfittare, con un arbitraggio (vedi), della differenza tra il prezzo corrente di mercato e quanto pattuito nell’accordo di fusione.
Contabilmente, è la differenza tra il valore di tutte le attività di un’azienda e tutte le sue passività. Indica il valore (contabile) dell’investimento fatto dagli azionisti nell’azienda. Nei mercati azionari, un’azienda può trattare ad un valore superiore o inferiore rispetto ai mezzi propri (vedi “Rapporto prezzo-mezzi propri”).
Letteralmente “fossato a protezione di un castello”, sono tutti quei vantaggi competitivi (economie di scala, risorse low-cost, brand, brevetti, …) che proteggono un’azienda dalla concorrenza e le permettono di mantenere elevati margini di profitto.
Tradotto in italiano con “abbrivio”, in fisica è la forza o la velocità di un movimento. In termini finanzari indica più propriamente la variazione di una variabile economica o di un prezzo. Le strategie di tipo momentum sono quelle nelle quali si compra quello che è recentemente salito di prezzo e si vende quello che è sceso.
Il valore netto per azione/quota di un fondo. Per i fondi comuni, il NAV (calcolato una volta al giorno alla chiusura dei mercati) rappresenta il prezzo al quale vengono comprate/vendute le quote del fondo stesso (più/meno uno spread e le varie commissioni di ingresso/uscita).
Il rendimento atteso da un investimento su un determinato periodo di tempo, che può essere espresso in termini monetari o percentuali.
In inglese Equity risk premium (ERP), è l’extra-rendimento che un investimento azionario offre rispetto al cosidetto rendimento privo di rischio (vedi “Rendimento (o tasso) privo di rischio”). Questo rendimento aggiuntivo è quello che compensa gli investitori per assumersi il rischio maggiore di un investimento azionario. La dimensione del premio varia a seconda del livello di rischio in un portafoglio, ma si muove anche secondo le fluttuazioni dei mercati finanziari. Come regola generica, investimenti con rischio maggiore sono compensati con un maggior premio atteso.
Con la locuzione “alleggerimento (o allentamento) quantitativo” si designano comunemente le politiche monetarie adottate a seguito della crisi del 2007-2008 e che consistono nell’acquisto massiccio di titoli obbligazionari da parte delle banche centrali per mantenere bassi i tassi d’interesse ed aumentare la liquidità in circolazione nel sistema.
Spesso chiamato Price-to-book ratio (P/BV), indica il multiplo dei mezzi propri al quale un titolo azionario tratta nel mercato.
Come sopra, indicato come Price-earnings ratio (P/E), indica il multiplo degli utili al quale un titolo azionario tratta nel mercato.
Il rating è una metodologia utilizzata per classificare paesi ed aziende sulla base del loro rischio finanziario (“merito creditizio”). Le valutazioni sono condotte dalle cosiddette agenzie di rating, e le tre principali a livello internazionale sono Standard&Poor’s, Moody’s e Fitch. Il rating è espresso in un voto in lettere (ed eventualmente numeri): ad esempio, nella classificazione di Moody’s (ed in maniera molto simile per le altre due agenzie) un rating di Aaa rappresenta il livello massimo (e quindi il livello di rischio finanziario minimo), seguito poi da rating di Aa, A, Baa, Ba, …. e così via fino a C, che rappresenta un realistico pericolo di insolvenza. I rating superiori a Baa sono considerati “investment grade”, ovvero sufficientemente sicuri per un investitore prudente; i rating inferiori a Baa sono invece considerati come speculativi (“high yield”).
È il rendimento (lordo) atteso da un investimento obbligazionario se tenuto fino alla scadenza , assumendo che non ci sia default. Il calcolo del rendimento a scadenza è fatto considerando la cedola pagata, il tempo a scadenza ed il prezzo pagato per l’obbligazione, assumendo che tutte le cedole incassate sono automaticamente reinvestite nello stesso titolo.
Il rendimento di un investimento privo di rischio (vedi).
Meglio definito come Return on Equity (ROE), indica la redditività di un’azienda, ed è misurato come gli utili netti divisi per i mezzi propri (equity) dell’azienda stessa. ROE misura quanto redditizi sono gli investimenti fatti dall’azienda rispetto a quanto investito dagli azionisti.
Detto anche Return on Invested Capital (ROIC), è anch’esso una misura della reddività di un’azienda come il ROE ma è calcolato rispetto a tutto il capitale investito nell’azienda, quindi non solo i mezzi propri degli azionisti ma anche il debito di finanziatori esterni.
Detto anche rischio non-sistematico, è la parte del rischio che non è correlata al mercato in generale. In altre parole, è la parte di rischio che è specifico ad un’azienda o ad un titolo e che può essere diversificato con un portafoglio di titoli differenti.
Detto anche rischio non-diversificabile o rischio di mercato, è il rischio inerente ad un investimento in un determinato mercato (o settore), che quindi ha un impatto su tutti i titoli in quel mercato, non solo una particolare azienda. Il rischio sistematico non può essere mitigato con la diversificazione.
Definisce un gruppo di strategie che enfatizza l’utilizzo di regole di costruzione alternative per gli indici di mercato (e le strategie ad essi collegate), ad esempio non basati sulla tradizionale capitalizzazione di mercato ma sovrappesando fattori come dividendi, fondamentali, multipli di mercato, … L’idea alla base delle strategie smart beta è di catturare le inefficienze dei mercati in maniera trasparente e sistematica (ovvero, basata su regole predefinite).
Operazione di finanza aziendale mediante la quale una divisione viene separata con la contemporanea distribuzione pro-rata delle azioni di questa divisione agli azionisti della casa-madre, creando due società indipendenti l’una dall’altra.
Indica la differenza nel rendimento di due investimenti. Nel caso di credit spread, indica il rendimento aggiuntivo richiesto per un’obbligazione rispetto ad un’altra, dove la prima è di qualità inferiore alla seconda (vedi “Rating”) e quindi offre un rendimento atteso superiore.
Spesso citato anche come tail events, si riferisce alle realizzazioni estreme e molto negative della distribuzione dei rendimenti attesi (appunto le “code” della distribuzione). Si tratta di eventi che hanno una bassa (ma non nulla) probabilità di accadere ma con impatti molto significativi sul portafoglio.
Opposto di bottom-up (vedi), determina la scelta degli investimenti su settori, paesi e/o mercati partendo dall’analisi aggregata di variabili macro-economiche.